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LA FELICITÀ È DIETRO L'ANGOLO
(LE BONHEUR EST DANS LE PRÉ)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 ottobre 1996
 
di Etienne Chatiliez, con Michel Serrault, Eddy Mitchell, Sabine Azéma, Carmen Maura (Francia, 1995)
 
Michel Serrault in un ritratto scattato alla fine degli anni '90
La ricetta di Etienne Chatiliez (un'opera-prima di sogno, nel 1987, LA VIE EST UN LONG FLEUVE TRANQUILLE, trionfo di pubblico, consenso di critica, il tutto con un investimento di pochi soldi; e TATIE DANIELLE, nel 1990, già più furbetto) non è poi cosi complicata: due famiglie in antitesi, la borghese e l'anarchica, due mondi destinati ad apporsi ma che finiscono per imparare a conoscersi, a distruggersi a vicenda, prima di ricomporsi partendo dalle proprie, al solito mitiche ceneri.

Il ritratto della Francia profonda, quella prediletta dal miglior Chabrol. Con delle storie sapientemente articolate, dei personaggi sottolineati in grassetto, delle situazioni di quel quotidiano un po' squallido che finisce per farsi paradossale. Fasti e nefasti di una piccola borghesia che allora non è più soltanto di casa propria: e che certamente non deve dispiacere a quell'Almodovar che non a caso impresta una delle sue attrici feticcio, Carmen Maura.

Dal film pubblicitario, nel quale eccelleva, ad uno dei generi più difficili da governare, il lungometraggio comico: i risultati - che vanno oltre il mestiere - nascono non a caso. Ma da sceneggiature di ferro (con Florence Quentin), dialoghi veri, graffianti e provocatori ("Lundi, c'est ravioli", rese celebre il quotidiano di LA VIE; "Comme si ma bite avait un gout" e perle del genere arrischiano di sfuggire ad una platea di lingua straniera; eterno dilemma di un cinema francese, ben più difficilmente esportabile dei collaudati schemi espressivi americani), attori diretti con mano disinvolta ma imperiosa.

Come quel Michel Serrault fabbricante di assi del cesso a Dôle, che tenta di sfuggire a moglie e figlia pestifere, fisco e recessione, infarto e depressione grazie ai beaujolais e rognoni tipici delle sue parti; ma che ci riuscirà soltanto grazie ad uno di quei tremendi reality show che la TV mette in onda per il godimento delle massaie e di non solo loro. Fingendo di essere uno di quei mariti scomparsi e ritrovati sotto l'occhio della telecamera: satira feroce di un fascino che non ha ormai più niente di sottile del mondo dei media che conosciamo.

Certo, nulla di veramente nuovo; come quel tema del sosia, degli equivoci di una doppia vita che il cinema sfrutta da anni in lungo ed in largo. Ma che Chatiliez esalta grazie all'esattezza dell'osservazione, all'acume degli ambienti. Ed ai suoi straordinari attori: Sabina Azéma grande come quando gira con Resnais, nei panni della moglie avida ed impagabilmente piccolo borghese, dai tailleurini rosa della talassoterapia a Quiberon ai piaceri non più grossolani del foie-gras e dei jambe-en-l'air. Eddy Mitchell, raramente cosi giusto: venditore d'auto dal buonsenso approssimativo quanto efficace, l'amico del cuore che non disdegna di avviare tutto quel bel mondo ad un salutare scambio di coppia. Ed i personaggi secondari, contabili imbranati ed avidi, con la flanelletta grigia e le Nike nuove; le operaie in sciopero, ma estasiate dall'arrivo del bravo presentatore impomatato.

I valori veri, come il matrimonio, il lavoro e la TV. Quelli solidi, come l'abboffata, l'automobile o lo sport. E quelli più tosti come il sesso libero, l'imbroglio impunito e la manipolazione. Un po' alla Bunuel, alla Ferreri o alla Almodovar, un po' come in certe commedie all'italiana, Chatiliez si muove allora a meraviglia.

Poi scade di tono: come quando non l'assiste una regia che non è all'altezza di tutto il resto. O di gusto e - certo peggio - di onestà: come quando sistema le cose come gli fan comodo, con le operaie che applaudono festanti il ritorno del padrone giusto. E l'agrodolce corrosivo che scolora nel diletto di un'operazione furba, oltre che bella.


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